L'insostenibile leggerezza della Solitudine
...Mi piace chiamarla la società dei senzatetto in virtù di quel continuo vagare senza mai riuscire a sentirsi a casa, comodi, in pace, magari in silenzio. Manca sempre qualcosa e questo ci rende insoddisfatti, incompleti, smaniosi...
“15 minuti di solitudine al giorno e sparisce lo stress”: questo è il risultato di una ricerca realizzata da psicologi dell'Università di Rochester, New York e pubblicata su Personality and Social Psychology Bulletin nel 2017. Una “cura” disintossicante ma non così immediata da intraprendere, soprattutto per chi lotta ogni giorno contro quella sensazione di vuoto con cui la solitudine va a braccetto. Capita sempre più spesso infatti di sentirla ripudiare, evitare, allontanare da sé, affannandosi nella ricerca di un nutrimento che possa colmare quel senso di mancanza. Mi piace chiamarla la società dei senzatetto in virtù di quel continuo vagare senza mai riuscire a sentirsi a casa, comodi, in pace, magari in silenzio. Manca sempre qualcosa e questo ci rende insoddisfatti, incompleti, smaniosi. E allora si ricerca in ogni modo e in ogni dove uno stimolo che ci faccia riempire ogni spazio vuoto, pur di non sentire il rumore delle nostre sensazioni. L’eloquio diventa concitato, il respiro affannoso, il passo accelerato e ogni pausa diventa l’occasione per dare uno sguardo agli ultimi post su facebook, controllare le connessioni whatsapp del proprio amato, pubblicare un selfie su instagram...in un vorticoso susseguirsi di azioni ripetute allo sfinimento fino a perdere la misura, la percezione del tempo e del contesto in cui ci troviamo. Ed è proprio questo che innesca un circolo vizioso che non ci permette di stare, di vivere e godersi il momento presente e di mettere radici nella realtà fisica, relazionale ed emotiva in cui ci troviamo. Molto più semplice rifugiarsi in un mondo virtuale in cui tutto è falsato, senza renderci conto che è proprio quello schermo scintillante, accattivante, immediato, truccato che rende le aspettative e richieste verso noi stessi inaccessibili e onerose. “L’immaginazione è l’unica arma nella guerra contro la realtà” afferma Lewis Carroll, autore della sognatrice Alice, e può divenire l’unica arma contro la solitudine. Luftmensch è la curiosa parola yiddish che indica “uomo dell’aria”, in parole povere una persona che frequentemente sogna ad occhi aperti. E allora accade di cullarsi nei propri sogni, rassicurarsi attraverso il dialogo interiore o crogiolarsi in pianti disperati, nel momento in cui quel monologo inizia a non bastare più o ad essere troppo severo. La solitudine può farci star male e perfino ammalare, a dimostrazione della nostra natura imprescindibilmente sociale. Tutti abbiamo bisogno di relazione, di contatto, di affetto, di incontrarsi con lo sguardo altrui. E’ dallo sguardo materno che inizia a costruirsi la propria identità che si consolida giorno dopo giorno proprio nella relazione. Spesso, soprattutto negli adolescenti, è questo che spaventa: il confrontarsi con gli altri, specchio o modello da seguire. L’adolescenza rappresenta una fase critica, di transizione durante la quale si rafforzano autostima e senso di efficacia e, nel momento in cui capita di scontrarsi con il rifiuto, con la critica, con il fallimento, la solitudine può rappresentare quel luogo protetto dove nascondere la propria identità ferita. Proprio come accade alla protagonista del recente romanzo “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galiano o, in modo diverso, al classico “Giovane Holden”. Ciò innesca un progressivo evitamento fobico del contesto sociale che comporta l’impossibilità di incontrare occasioni di crescita, affetto e condivisione e il conseguente insinuarsi di convinzioni disfunzionali quali: “Sono diverso”, “Sono inutile”, “Nessuno mi apprezza”, “Non merito amore”. “ …e se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare in te” suggerisce in maniera puntuale Nietzsche. La solitudine è quel luogo dove esistiamo soltanto noi e le nostre emozioni, dove ogni flebile suono diventa un eco roboante, dove tutto è magico se per magia intendiamo la possibilità di far accadere qualcosa dal vuoto. La solitudine fa spazio, dentro e fuori di noi, decomprime, cura ferite. Ma come in ogni cosa, serve equilibrio e padronanza. Occorre pertanto imparare a viverla come opportunità di consapevolezza e cura. Saper alternare momenti di gratificante socialità a spazi vuoti come a comporre un’armoniosa melodia.