Perchè è così difficile perdonare?
"Ti perdono": basta provare a pronunciare ad alta voce questa ermetica frase per sentirne il valore. Quante volte ci è successo di far fatica a "fargliela passare liscia"? Quante volte ce "la leghiamo al dito"? Quante volte non riusciamo a "voltare pagina"?.
"Ti perdono": basta provare a pronunciare ad alta voce questa ermetica frase per sentirne il valore. Quante volte ci è successo di far fatica a "fargliela passare liscia"? Quante volte ce "la leghiamo al dito"? Quante volte non riusciamo a "voltare pagina"?. L'amica ci parla alle spalle, il marito ci tradisce, il datore di lavoro offre una vantaggiosa promozione a una collega, abusi, offese, vessazioni, sono tante le situazioni che instillano in noi sensazioni che siamo restii a "mandar giù". Rabbia, disappunto, frustrazione, rancore, risentimento si insinuano nelle nostre vite filtrando la nostra esperienza e alterando le nostre percezioni. Ma che cosa significa perdonare e perché è così difficile? Perdonare deriva dal latino per- donare ovvero donare completamente. Nel nuovo Testamento invece il concetto di perdono è indicato da due parole greche: aphiemi che implica il lasciar andare e hilaskomai che significa espiare. Il perdono non ha solo una valenza religiosa ma ha un profondo impatto anche a livello psicologico. Perdonare non è facile, richiede coraggio, umiltà e disponibilità a cedere, a donare completamente una parte di sé. Nell'atto del perdono infatti la persona sceglie di lasciar andare la sua parte ferita e di offrire all'altro una nuova possibilità come pure un nuovo frammento di se stesso. In questo processo è quindi in gioco l'identità, del ferito e dell'oppressore. Entrambi subiscono un'offesa, un'incrinatura alla propria immagine: da una parte il ferito che non si sente riconosciuto e desiderato, dall'altra colui che ferisce il quale, nell'atto del perdono, si vede costretto a riconoscere in parte la propria responsabilità. "La miglior vendetta è il perdono" racconta un detto popolare. Perdonare infatti è un gesto di grande umanità che getta luce sulla forza, sullo spessore umano di colui che lo mette in atto. Spesso infatti la rabbia, il rancore, il risentimento divengono per noi una dipendenza, la dimostrazione del nostro potere e una difesa che ci tutela dalla possibilità di altre ferite come recita con enfasi l'Otello shakespeariano : “Sorgi, nera vendetta, dal tuo covo, e tu, amore, cedi la tua corona e il trono che avevi nel mio cuore all’odio tiranno! Gonfiati, petto, pel carico di mille lingue di serpenti.” In realtà tale meccanismo ci protegge dalla possibilità di essere felici, di ricominciare a vivere, liberandoci da quei pesanti fardelli. Un'antica storia zen paragona i torti e le offese subite e non "assolte"ad un sacco di patate che la persona faticosamente si porta sulle spalle nel proprio cammino. Patate che, con il tempo, iniziano a marcire, a emanare un odore nauseabondo. Ed è proprio così: torti, offese e ingiustizie subite se non elaborate e accettate iniziano a covare dentro di noi sensazioni insidiose e velenose. Senza dimenticare l'impatto che tali movimenti hanno sul nostro pensiero che facilmente diviene preda di rimuginazione e idee fisse, come pure sul nostro comportamento, adombrato da sfiducia, distacco e aggressività. Il perdono ristabilisce invece la naturale omeostasi, facendo superare il blocco emotivo e la tipica ruminazione mentale. Perdonare permette alla persona di mettersi in connessione con l'altro, di indossare i suoi panni o meglio di empatizzare e di "abbracciare" la parte umana che vive in ognuno di noi e che è fatta di luci ed ombre. Imparare a perdonare l'altro implica infatti imparare a perdonare se stessi in quanto se non accetto i limiti, le zone buie dell'altro difficilmente posso accettare le proprie. Il perdono cura il corpo e l'anima. E' un atto di amore per se stessi, per l'altro, per il mondo che ci circonda. Le persone capaci di perdonare sono selettivamente più adatte alla sopravvivenza della specie. È infatti dimostrato scientificamente che si ammalano meno e hanno una qualità della vita superiore dal punto di vista emotivo e sociale. Il perdono ha un impatto profondo sul sistema circolatorio e su quello immunitario e sulle aree cerebrali dell’empatia e sulla resilienza intesa come la capacità di risollevarsi dopo una caduta e di vivere le difficoltà come opportunità. “Il perdono libera l'anima e rimuove la paura. È per questo che è un'arma potente” insegna Nelson Mandela, eroe nella lotta per la libertà, prigioniero ammirevole per la sua disponibilità al perdono. Paura di essere feriti di nuovo o di perdere la propria immagine e per la quale sacrifichiamo la possibilità di essere liberi, leggeri, felici.